martedì, febbraio 24, 2009

Isidoro e il sapere perfetto


Sono le sei di sera e dalla finestra di Isidoro vengono i soliti bagliori bluastri. Alle sei di sera Isidoro guarda sempre la tv. Lo so che fa così, lo so ma mi dà fastidio, non voglio. La guarda tutte le sere fino alle otto, poi va a dormire, e d'inverno la guarda anche a metà mattina e anche alle tre, perchè d'inverno c'è poco da fare, la terra dorme, e fuori fa freddo per andare a zonzo, così Isidoro sta al caldo e si guarda un pò di tele, dice.
Isidoro, vorrei che tu non la guardassi mai la tele. Lo so che ti alzi alle cinque del mattino e alle dieci hai già falciato mezzo campo di fieno e ti fai un grilletto di patate in insalata col prezzemolo e la cipolla, lo so che alle sei di sera ne hai già fatte non una ma tre di giornate di lavoro ed è giusto che ti riposi. Lo so. Ti accasci sulla tua seggiola di paglia, le braccia sulla tovaglia di plastica a fiori, ancora quella che aveva comprato la tua Lina, appoggi la testa bianca sulle braccia e ti metti a guardare le ballerine, i cartoni, la ventisettesima puntata di un giallo. Lo so, ma vorrei chiederti di non farlo: i contadini come te hanno un sapere perfetto, posseggono la conoscenza profonda del mondo. Come i marinai, i pescatori... Avete un mondo piccolo e perfetto: imparate e sapete solo le vostre cose, come si ara un campo, quando arriva il vento, dove si lega l'amo e come si calma il mare. Sapete tutto delle vostre cose, da secoli: da qui nasce la vostra saggezza, di li riuscite a capire tutto, anche tutto il resto dico, anche quello che non riguarda il vostro mestiere, perchè siete andati giù profondo, in verticale, su una cosa sola. Ma la tivù, la tivù vi fa vedere tante cose, che non sono le vostre, vi mette tutto in fila sul tavolo: le ballerine di Parigi, la guerra in Nigeria, il nuovo governo dell'Ulivo, gli abiti di Ferragamo e lo spazzolino nuovo della Colgate. La tivù vi allarga la conoscenza, e vi distrugge la saggezza.
E io a chi lo chiedo più dove mandare a scuola Marcello, cosa dargli se ha la diarrea o come sopportare che gli anni più belli passino? A chi lo chiedo, se anche i contadini guardano la tivù?

P.Mastrocola, "La gallina volante"

lunedì, febbraio 23, 2009

Caro Festival

Il brano che posto qui di seguito è il contenuto della lettera di Paolo Giordano al Festival, letta da Haber durante la kermesse, di cui ho parlato nel post precedente. Grazie a Christian che l'ha scovata da qualche parte, e sapendo che la stavo cercando me l'ha inviata.

Caro Festival
è stato un inverno rigido qui lento e faticoso come una convalescenza.
L'ultima nevicata mi ha colto alla sprovvista un mattino di qualche settimana fa.
Sdraiato sul letto le persiane chiuse, ecco sta nevicando si capiva dai rumori, dalla loro inusuale assenza.
Sono uscito di casa presto per ripulire la rampa dei garages, il mio vicino Roberto mi aveva preceduto.
Buongiorno, come stai gli ho domandato. Insomma non ci ho fatto caso erano solo convenevoli, i fiocchi di neve asciutti restavano incollati alle maniche dei giacconi, osservandoli da vicino potevi studiare le simmetrie dei cristalli, tutte simili e ognuna differente.
E il lavoro?
Roberto ha conficcato la pala più a fondo spingendola con il tallone ha alzato le spalle e distolto lo sguardo mentre io realizzavo di essere stato incauto.
Più volte nell'ultimo mese avevo sentito la sua voce in casa anche al mattino, ma Roberto fa il rappresentante non ha orari fissi, capita che esca in pieno giorno in maglione con la zip tirata su fino al mento, la valigetta priva di tracolla, la serratura della Station wagon attivabile a distanza, e rientri quando io ho già finito di cenare.

Ma quindi sei, sei... mi sono interrotto perchè la fine della frase suonava stonata come una sgrammaticatura, si Roberto ha rovesciato un altro mucchio di neve e quello si è disfatto al suolo come farina.

Abbiamo continuato a spalare in silenzio rivolgendoci le spalle poi lui si è lasciato andare:
L'abbiamo chiamata così forte che alla fine è arrivata ha detto. Sai non ci pensi davvero finchè un giorno ti ritrovi a girare per casa senza un nulla da combinare come in un intralcio.
Questa settimana ho sostituito tutte le piastrelle scheggiate della cucina, le romperei di nuovo pur di avere qualcosa da aggiustare, da fuori non si può capire, è come essere malati.
Quindi mi sono allontanato con l'automobile.

Roberto stava ancora spalando per rendere agibile una rampa che quel giorno non doveva condurlo in alcun luogo.
Insomma la crisi ci ha raggiunto fino a qui, fino al nostro impersonale condominio con i balconi che affacciano a ovest, ai margini della zona industriale come un'onda provocata da una esplosione lontana che ha attraversato l'oceano, si è schiantata sulle montagne sollevandosi in un muro per rovesciarsi e sommergere tutto, ritirandosi ci lascerà spogliati e fradici.
Mesi fa guardavo alla TV, degli impiegati con le cravatte allentate, lasciare i grattacieli in cui lavoravano, reggevano in braccio degli scatoloni, ma accadeva in un altro continente, qui grattacieli non ce ne sono.
Non ci pensi davvero finchè non ti succede. Per me crisi non era che una parola ripetuta sui giornali, alla televisione, ora l'avverto tutta intorno, una vibrazione invisibile che scuote ogni oggetto e le mie mani.

Ho rivisto Roberto sotto i portici al centro qualche giorno fa, guardava la vetrina di un negozio di abbigliamento intimo, un manichino di donna, testa, braccia, gambe mutilate, ruotava intorno al proprio asse con indosso un completo di cotone bianco punteggiati di minuscoli fiori.
Stavo per chiamarlo ma poi ho notato come abbassava lo sguardo imbarazzato al sopraggiungere di altri passanti, ha scosso la testa come a dire: non non posso e si è allontanato in direzione della piazza. Dopo qualche passo si è arrestato di colpo è tornato indietro di nuovo a fissare la vetrina.

Io ho pensato entra su dai entra a comprarlo, in quel momento mi è sembrato importante che lo facesse, indispensabile addirittura per lui e per me e mi è sembrato insensato e ridicolo che un uomo di 48 anni non potesse permettersi un regalo così per la donna che ama, in un paese in cui gli alberi sono piantati a distanze regolari ai margini delle strade, ai cellulari, ricevono il segnale dentro le gallerie e sottoterra.

Roberto ha scrollato le spalle nervoso ed esitante poi è entrato nel negozio.
Stasera dal letto sento la televisione accesa del soggiorno del mio vicino, i bassi resistono allo spessore dei muri e ogni tanto distinguo gli applausi come scoppiettanti scintillanti.
Immagino Roberto sul divano che abbraccia la moglie, insinua una mano sotto la sua maglietta e al tatto riconosce il completo nuovo che le ha regalato, si sorridono, complici ma non possono dire nulla perchè i bambini sono ancora svegli, vogliono guardare Sanremo. Roberto non si sente malato adesso. Il presente è spostato più in là di qualche ora, l'inverno si ferma fuori della finestra e la neve già inizia a sciogliersi.
Caro Festival è il momento che suoni una canzone per lui, una romantica, tanto romantica da farlo imbarazzare, tanto sensuale da sfinirlo di desiderio, tanto da stordirlo e permettergli di dimenticare
almeno per stasera.
Suonala adesso

Tuo Paolo Giordano

venerdì, febbraio 20, 2009

Perchè Sanremo è Sanremo


Sono caduta nella trappola Benigni. Rovinosamente scivolata nella rete di Sanremo, di cui, dallo spettacolo Johnny Stecchino, non perdo un minuto. Mi tocca comprimere la doccia negli spazi pubblicitari al punto da rimpiangere un pò le lunghe interruzioni Mediaset. Praticamente ho sentito tutte le canzoni, i duetti, le performances degli artisti ospiti. Ho perso solo la lettera di Giordano letta da Haber, maledizione, ma deve essere stato il momento in cui non trovavo il bagnoschiuma.
Ho detto, sono caduta nella trappola di Sanremo ma non me ne dispiaccio. Devo dire che mi piace. Mi piace Bonolis, soprattutto quando fa lo stronzo. Mi piacciono alcune canzoni, in primis la poesia di Arisa tra le nuove proposte. Mi piace l'idea del valletto che anche se non parla dice un sacco di cose. Ho avuto i brividi con Benigni nell'intervento tratto dalla lettera d'amore scritta da Oscar Wilde ma l'ho trovato ripetitivo su Berlusconi e nella polemica con la Zanicchi, ho pianto su Bocca di Rosa cantata da PFM, Santamaria e Accorsi, ascoltato Allevi, anzi, osservato Allevi e le sue mani, velocissime e poi Bucharach, semplicemente emozionante. Bello anche il Va pensiero cantato da Mina, senza tante polemiche e parole. Certo non è lirica, ma se il pezzo rende il problema dov'è?
Ora veniamo alle cose serie. La Zanicchi. La sua canzone. Quante parole. E quante polemiche. E passino quelle sulla canzone di Povia gran furbone, che è pure carina, orecchiabile, non dice nulla di eclatante, non parla di malattie, epidemie cataclismi ma racconta una storia, singola, pure romantica se vogliamo e come al solito si è alzato un polverone per nulla. Povero Luca. Prima si bucava e Silvia non lo sapeva, poi la Salemi si era praticamente trasferita a casa sua, ora questa, era gay e non lo è più. Qui i casi sono due, o è sfigato o ha degli amici che non si fanno i cazzi loro.
Ma la Zanicchi che vuole fare sesso che problemi ci da? Ma porco cane, qui mi infervoro. Va bene che la canzone faccia cagare, e su questo non ci piove, ma qui le polemiche non sono per la canzone ma per il fatto che una donna di sessant'anni voglia trombare. E voglia farlo così, tanto per fare, senza affetti, vincoli, dipendenze. Ora, se Mario a sessantanni va a Cuba sta bene. Se Briatore si tromba tutte le modelle di Dolce e Gabbana "Mica scemo!!". Se in tv passa Hefner accompagnato dalle sue conigliette lampi d'invidia negli occhi dei nostri compagni, coinquilini, fratelli, amici. D'Alessio e la Tatangelo, che coppia.
Se la Zanicchi sale su un palco e dice voglio trombare, voglio farlo bene e voglio pure farlo a lungo non va più bene. No. Le sessantenni fanno le torte di mele, la bagna cauda, la coda al supermercato, il golfino alla nipote, il cruciverba di Dipiù e la busta a Natale.
Bigotti.
E maschilisti.
Oltre che invidiosi. Scientificamente provato che noi donzelle, a quell'età, facciamo dell'ottimo sesso. Senza Viagra.

domenica, febbraio 15, 2009

Buon San Valentino

Mi perdonerà Massimo Gramellini, ma certi interventi meritano la diffusione.

Cuori allo specchio, 14 febbraio.

Al cuor non si comanda, il cuore lo si sa - può soffrire per amore, molto, e in ogni età.
Caro S. Valentino, cara festa del cuore - ti scrivo oggi tremante e piena di dolore.
Nella festa più grande per chi è innamorato - io mi ritrovo sola, senza più fidanzato.
Io lo credevo onesto, ma onesto lui non era - mi raccontava frottole dalla mattina a sera.
Quando poi lo scoprii, era un po’ tardi ormai - lui m’aveva già messo in un mare di guai.
Disgustata ho scoperto che lusingava tutte - vedove, maritate, magre, grasse o brutte.
A tutte prometteva, come fa un furbo amante - con un modo accorato, vorrei dire toccante.
Frasi memorizzate, come le poesie - così da non confondersi, tra le mille bugie.
Era allegro ciarliero, un vero buontempone - sapeva districarsi in ogni situazione.
Sempre aveva una scusa, sempre aveva un pretesto - e per giustificarsi, tra i tanti era il più lesto.
A tutte ripeteva lo stesso ritornello - e anch’io, come le altre, caddi nel suo tranello.
«Io vi proteggerò». Ci dichiarava spesso - «Gli altri son farabutti! Tutti, meno me stesso».
Ben sapeva celare quel sentore di vecchio - con un grande sorriso che giungeva all’orecchio.
Scarso un po’ di capelli, e anche un po’ «bassotto» - ma usava bene il tacco e si alzava... da sotto.
Lo abbiam trovato in tante un tipo affascinante - e a lui presto cedemmo, pian piano, tutte quante.
E poi aveva soldi, euroni in quantità - e forse anche dobloni nascosti un po’ qua e là.
Un uomo molto ricco, si sa non guasta mai - i soldi lo sappiamo, tengon lontano i guai.
Poteva comprar tutto, case, gioielli e affini - poteva pur comprarsi, dromedari e beduini.
Così anch’io cedetti... Speravo nei confetti - invece mi mentì, in men che te l’aspetti.
Ma nonostante questo, caro S. Valentino - vorrei che lui avesse, oggi, il mio regalino.
Perché, come il mio lui, non ce n’è altro uguale - forse sbaglio, lo so, ma son sentimentale!
Caro S. Valentino, non ritenermi sciocca - ma oggi vorrei dargli un bacio sulla bocca.
Un bacio irripetibile, un bacio passionale - forte lì, sulla bocca, quasi da fargli male.
In modo che restasse, a lui sempre incollata - la mia protesi rotta, e ancor non riparata.
Purtroppo non ho i soldi per andar dal dentista - neppure per gli occhiali pur se corta di vista...
Vorrei che quella bocca davvero molto astuta - che ospita una lingua audace e biforcuta.
Con questo mio regalo, smettesse d’imbrogliare - costretto dal mio dono soltanto a farfugliare.
Un dono da noi tutte, beffate dagli inganni - da un gran filibustiere che ci mentì per anni.
Un dono dalle donne, ingenue come me - che scambiano i giullari per principi o per re.
Per me e per quelle altre, sedotte e abbandonate - povere e senza un soldo: noi, vecchie pensionate.
Risposta
Mai questa rubrica, in undici stagioni - osò mettere in rima gli umani stranguglioni.

Zorrina ci è riuscita, in modo assai carino - nei giorni consacrati al santo Valentino.

Non voglio aggiunger sale al grande tuo dolore - ma è indubbio che inciampasti in un serial killer del cuore.

Bugiardo impenitente, grande ipnotizzatore - chissà se di partiti è mai stato fondatore.

Le scarpe rialzate, i soldi e i sorrisoni - non ne conosco molti in queste condizioni.

Forse uno sol possiede tutti quegli orpelli - ma in testa ora ha un cespuglio, non è scarso di capelli.

Atroce è la vendetta che il cuore ti ha insufflato - ma devo riconoscerlo, il castigo è meritato.

Ostruirgli la bocca con la protesi incollata - nemmeno una vampira l’avrebbe architettata.

Prima però di urla dovrai farne parecchie - per strappare il cerone che ottura le tue orecchie.

Non c’è miglior sordo di chi non vuol sentire - sapevi che lui era falso ma non te lo volevi dire.

Come hai potuto credere alle sue invenzioni - a chiacchiere che mai portavano a coerenti azioni?

Se esiste un truffatore, esiste anche un truffato - che assai contribuisce all’altrui peccato.

E allora non spostare tutto sul mascalzone - il peso del tuo grave errore di valutazione.

Insomma, gli hai creduto, eri obnubilata - da tutta quella ricchezza, forse millantata.

Oppure, almeno penso, ti sentivi così sola - che desideravi bere ogni sua parola.

Ora non compiangerti, non darti della vecchia - sei una donna splendida, non una catapecchia.

Se vuoi trovare un uomo che non ti faccia fessa - vai prima allo specchio e sorridi un po’ a te stessa.

La festa del cuor è per tutti, ma ancor di più per te - che resti una regina anche senza re.

MASSIMO GRAMELLINI

sabato, febbraio 14, 2009

Povera Italia II

mercoledì, febbraio 04, 2009

Sgrunt


Che nervi il tester del profumo in profumeria, che spruzzi addosso senza pensare, fa schifo e ti rimane addosso tutto il giorno. Che nervi la vecchietta che in coda alla Coop fai gentilmente passare perchè ha solo 3 pezzi: una ricarica telefonica che non vuole attivarsi, un bonsai in offerta che la cassa riconosce come set di asciugamani di spugna e un flacone di ammorbidente ammaccato proprio lì, sul codice a barre. Che nervi i cani che sporcano ma più i padroni che non puliscono. Che nervi il tecnico dell'Italgas, che se l'appuntamento è alle 16.00 arriva alle 18.00 e se è alle 8.00 del mattino arriva puntualissimo. Che nervi i punti neri dopo una notte in bianco, sarà qualcosa che ho mangiato? Che nervi trovare la trama di un libro interessante sul retro del libro successivo: so che è una trilogia ma volessi leggere anche quello precedente e fossi solo un pochino in ritardo? Che nervi le serate a far nulla e quelle con troppe cose da fare. Che nervi l'elasticità dei mercati imperfetti e la curva di Laffer che prima scende poi sale, praticamente fa cosa vuole e a te tocca starle dietro.. Che nervi il tempismo dell'amico carino nel dirti "si, poteva essere cosa" solo quando si è fidanzato. Giornata no? Forse un po'...