lunedì, febbraio 23, 2009

Caro Festival

Il brano che posto qui di seguito è il contenuto della lettera di Paolo Giordano al Festival, letta da Haber durante la kermesse, di cui ho parlato nel post precedente. Grazie a Christian che l'ha scovata da qualche parte, e sapendo che la stavo cercando me l'ha inviata.

Caro Festival
è stato un inverno rigido qui lento e faticoso come una convalescenza.
L'ultima nevicata mi ha colto alla sprovvista un mattino di qualche settimana fa.
Sdraiato sul letto le persiane chiuse, ecco sta nevicando si capiva dai rumori, dalla loro inusuale assenza.
Sono uscito di casa presto per ripulire la rampa dei garages, il mio vicino Roberto mi aveva preceduto.
Buongiorno, come stai gli ho domandato. Insomma non ci ho fatto caso erano solo convenevoli, i fiocchi di neve asciutti restavano incollati alle maniche dei giacconi, osservandoli da vicino potevi studiare le simmetrie dei cristalli, tutte simili e ognuna differente.
E il lavoro?
Roberto ha conficcato la pala più a fondo spingendola con il tallone ha alzato le spalle e distolto lo sguardo mentre io realizzavo di essere stato incauto.
Più volte nell'ultimo mese avevo sentito la sua voce in casa anche al mattino, ma Roberto fa il rappresentante non ha orari fissi, capita che esca in pieno giorno in maglione con la zip tirata su fino al mento, la valigetta priva di tracolla, la serratura della Station wagon attivabile a distanza, e rientri quando io ho già finito di cenare.

Ma quindi sei, sei... mi sono interrotto perchè la fine della frase suonava stonata come una sgrammaticatura, si Roberto ha rovesciato un altro mucchio di neve e quello si è disfatto al suolo come farina.

Abbiamo continuato a spalare in silenzio rivolgendoci le spalle poi lui si è lasciato andare:
L'abbiamo chiamata così forte che alla fine è arrivata ha detto. Sai non ci pensi davvero finchè un giorno ti ritrovi a girare per casa senza un nulla da combinare come in un intralcio.
Questa settimana ho sostituito tutte le piastrelle scheggiate della cucina, le romperei di nuovo pur di avere qualcosa da aggiustare, da fuori non si può capire, è come essere malati.
Quindi mi sono allontanato con l'automobile.

Roberto stava ancora spalando per rendere agibile una rampa che quel giorno non doveva condurlo in alcun luogo.
Insomma la crisi ci ha raggiunto fino a qui, fino al nostro impersonale condominio con i balconi che affacciano a ovest, ai margini della zona industriale come un'onda provocata da una esplosione lontana che ha attraversato l'oceano, si è schiantata sulle montagne sollevandosi in un muro per rovesciarsi e sommergere tutto, ritirandosi ci lascerà spogliati e fradici.
Mesi fa guardavo alla TV, degli impiegati con le cravatte allentate, lasciare i grattacieli in cui lavoravano, reggevano in braccio degli scatoloni, ma accadeva in un altro continente, qui grattacieli non ce ne sono.
Non ci pensi davvero finchè non ti succede. Per me crisi non era che una parola ripetuta sui giornali, alla televisione, ora l'avverto tutta intorno, una vibrazione invisibile che scuote ogni oggetto e le mie mani.

Ho rivisto Roberto sotto i portici al centro qualche giorno fa, guardava la vetrina di un negozio di abbigliamento intimo, un manichino di donna, testa, braccia, gambe mutilate, ruotava intorno al proprio asse con indosso un completo di cotone bianco punteggiati di minuscoli fiori.
Stavo per chiamarlo ma poi ho notato come abbassava lo sguardo imbarazzato al sopraggiungere di altri passanti, ha scosso la testa come a dire: non non posso e si è allontanato in direzione della piazza. Dopo qualche passo si è arrestato di colpo è tornato indietro di nuovo a fissare la vetrina.

Io ho pensato entra su dai entra a comprarlo, in quel momento mi è sembrato importante che lo facesse, indispensabile addirittura per lui e per me e mi è sembrato insensato e ridicolo che un uomo di 48 anni non potesse permettersi un regalo così per la donna che ama, in un paese in cui gli alberi sono piantati a distanze regolari ai margini delle strade, ai cellulari, ricevono il segnale dentro le gallerie e sottoterra.

Roberto ha scrollato le spalle nervoso ed esitante poi è entrato nel negozio.
Stasera dal letto sento la televisione accesa del soggiorno del mio vicino, i bassi resistono allo spessore dei muri e ogni tanto distinguo gli applausi come scoppiettanti scintillanti.
Immagino Roberto sul divano che abbraccia la moglie, insinua una mano sotto la sua maglietta e al tatto riconosce il completo nuovo che le ha regalato, si sorridono, complici ma non possono dire nulla perchè i bambini sono ancora svegli, vogliono guardare Sanremo. Roberto non si sente malato adesso. Il presente è spostato più in là di qualche ora, l'inverno si ferma fuori della finestra e la neve già inizia a sciogliersi.
Caro Festival è il momento che suoni una canzone per lui, una romantica, tanto romantica da farlo imbarazzare, tanto sensuale da sfinirlo di desiderio, tanto da stordirlo e permettergli di dimenticare
almeno per stasera.
Suonala adesso

Tuo Paolo Giordano

3 Commenti:

Blogger Andrea ha detto...

Ho le lacrime agli occhi, molto bello il pezzo di Paolo Giordano, molto vicino al sentirsi sconfitti. Invidio il suo poter tornare ad una donna, amata ed amante.

12:04 PM  
Anonymous Anonimo ha detto...

ciao Cla, ma se scriverò un giorno il mio libro lo metti poi sul tuo blog il mio racconto che invierò al festival???!!! baci

11:51 PM  
Blogger Cla ha detto...

ti farò una pubblicità degna di casa editrice... altro che Mondadori..su su..cominciamo a scrivere...

9:06 AM  

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