martedì, settembre 30, 2008

Grazie di esistere. "Godzilla in Giappone."


Grazie di esistere rappresenterà d'ora in poi lo spazio per raccontare quelle persone che ognuno di noi incontra, incrociandole per strada, al ristorante, in coda al Gs che ti risollevano la giornata. Questo post è dedicato a coloro che inconsapevolmente, con la loro ingenuità, rendono questo mondo migliore, o anche solo un pò più comico.

Sabato, ore 14:00, io e la mia amica Sballo pranziamo al Giapu quano ad un certo punto entrano nel ristorante cinque loschi figuri (figuri??) vestiti da volontari della Croce Rossa. Tanto per cominciare se devo chiamare il 118, dopo sabato, ci penso due volte. Nel gruppo, tra tutti troneggia (troneggia??) uno di loro. Leader carismatico, conosce a menadito il menu del locale, le abitudini usi costumi nipponici, la lingua, e la cameriera; al telefono parla con un amico:"Si. Siamo qui. Vicino a Porta Nuova, si, dove paghi poco e mangi quanto vuoi che c'è il disco che gira (si, il nostro disco che suona. Penso alludesse al carrello rotante su cui scorrono i piatti). Si, ma dai checccittrovi. Vedi l'ambulanza in mezzo alla strada (sempre meglio). Si.Ora ci sediamo, noi cominciamo, ti teniamo un posto vicino a noi.(No ti prego, io al ristorante ci vengo, ma vicino a voi proprio no. Posso pranzare da solo, coltivando la mia solitudine?)" Il cretino, ops, il nostro eroe chiude la chiamata, si siede e chiama il cameriere: "Possiamo mangiare quanto vogliamo?". Il terrore più puro negli occhi a mandorla, l'impulso di rispondere:"Possibilmente se questo non coincide con il fallimento dell'attività fondata da mio nonno, curata da mio padre e trsmessa a me, con cui intendo mantenere i miei otto figli". Un'unica flebile risposta: "Celto".
Godzilla, a capo della squadra, inizia ad afferrare le portate una dopo l'altra, anzi, anche due o tre insieme. Gli arti si moltiplicano come quelli della dea Kalì, i ritmi si intensificano, le mani entrano in competizione con la mandibola. Sushi, alghe, zuppa, pollo, totani e ogni tipo di pesce, chele di granchio, riso, spiedini di cui non sopravvive neanche il legno, cozze ingoiate guscio e tutto. Mentalmente io e la mia amica ringraziamo di essere arrivate alcuni minuti prima, e di aver concluso il pranzo prima del loro arrivo. Sul carrello davanti a noi per tre quarti d'ora non passa altro che melone e uva. Quando ci alziamo per pagare i nostri eroi si leccano i baffi. Tutti meno uno. Godzilla è visibilmente esausto, ha gli occhi iniettati di sangue, osserva un punto fisso sul tavolo e suggerisce agli amici: "Questo non prendetelo." Ascolto la conversazione, e vinta dalla curiosità osservo l'oggetto indicato. Questo sta per il contenitore del Wasabi, che il nostro uomo(si fa per dire), cucchiaino dopo cucchiaino come con lo yogurt tanto per intenderci si è finito. Sono troppo sconvolta anche per pagare. Ora, io non so se siate già stati tutti in un sushi bar, ma il contenitore del wasabi è uno strumento di tortura denunciato da amnesty, lasciato all'uso moderato e consapevole di ogni commensale. Cioè, a differenza degli altri piatti da portata, è un vasetto da cui attingere (pochino pochino) e riporre di nuovo sul carrello affinchè anche il commensale seduto dopo di te possa morire un poco. Ora, avendolo assaggiato, mi chiedo se GrandeGrossoeCoglione sia ancora vivo.
In qualunque caso se non sono svenuta dal ridere è stato solo per il timore di essere soccorsa dalla Croce Rossa.

Wikipedia: Secondo il lavoro di un gruppo di ricercatori della Facoltà di medicina dell'università di Firenze, pubblicato dalla rivista americana Proceedings of the national academy of sciences (Pnas), il consumo regolare di wasabi sarebbe in grado di alzare la soglia di percezione del dolore, grazie all'effetto del wasabi receptor. E con questo è detto tutto.

Chissà se ti arriva il mio pensiero...

lunedì, settembre 15, 2008

Zio Pino

P: Dalle nostre parti, quando si vuole bene ad una persona, ma bene veramente, la si chiama Zio, Don
F: Quando gli vuoi bene in maniera particolare e gli porti un rispetto enorme, Padrino, in siciliano Parrì
P: A noi è capitato di voler molto bene ad un persona e, anche se non era un parente, per noi era lo Zio Pino
F: Zio Pino era una persona normale: né alto né basso, né bello né brutto, aveva delle mani enormi, dei piedi enormi, però aveva un sorriso, ma un sorriso!
P: Rideva sempre, sempre! Anche quando non c’era niente da ridere, lui rideva! Tant’è che noi glielo dicevamo: Zio Pino, ma che min***a ci ridi!
F: Zio Pino non beveva, non fumava, non bestemmiava, non diceva parolacce, però aveva un difetto enorme: AMAVA, amava troppo, Zio Pino era un professionista dell’amore
P: Non aveva mogli, ma amava quelle degli altri
F: Non aveva figli, ma tutti sapevano che ce n’erano un sacco sparsi per la città
P: Insomma Zio Pino era malato d’amore e col tempo si era aggravato, più amava e più voleva amare
F: Da questo punto di vista era diventato inaffidabile!
P: Ma la cosa incredibile è che più era inaffidabile e più veniva amato da tutti!
F: Da tutti! Da tutti! Pensate che addirittura i mariti andavano da Zio Pino e gli dicevano: Per cortesia Zio Pino, io devo partire, a casa mia non c’è nessuno, potrebbe venire ad amare un poco mia moglie… e lui entrava, con la scusa della moglie e piano piano, sorridendo, amava tutta la famiglia
P: Noi glielo dicevamo, Zio Pino si dia una calmata con tutto questo amore, perchè sennò a lei finisce male, ma lui niente, era cocciuto!
F: Zio Pino era un amatore cronico!
P: Era amante dell’amore!
F: Era un amante amatore innamorato dell’amore!
P: Insomma amava a tutti i livelli, a tutti, tutti!
F: Zio Pino quando noi gli dicevamo di amare meno lui ci rispondeva: Picciotti, ci sono così tanti tipi di amore al mondo, che non sapendo quale scegliere li ho presi tutti! L’amore per i padri, per le madri, per i figli, per i fratelli, per le sorelle, per se stessi!
P: L’amore per se stessi, picciotti, è il peggiore di tutti, non c’è peggio di un uomo che ama se stesso
F: Vero, vero, vero, c’era un amico mio
P: Fatto vero
F: Che stava tutto il santo giorno davanti allo specchio, si guardava e si diceva: ma quanto sono bello, ma quanto sono bravo….che io gliel’ho detto: Silvio, tu così t’ammali!
P: Zio Pino invece era di tutt’altra pasta, Zio Pino era amante, ma amato da tutti!
F: E ne abbiamo avuto la conferma al suo funerale!
P: Min***a quanta gente!
F: Min***a funerale!
P: Min***a pianti!
F: Meraviglioso!
P: Bellissimo! Funerale Eccezionale! A parte qualcuno che era lì solo per il piacere di farsi vedere: io c’ero
F: No, no, no, non dire così, diciamolo sinceramente, c’era un sacco di gente perché Zio Pino era amato da tutti
P: Per carità, pure per quello, però secondo me c’era un sacco di gente anche per il modo, come se n’è andato
F: Ah si, quello si
P: Perché quando una persona muore di vecchiaia, piano piano ci si abitua all’idea, si elabora il famoso lutto, quando uno muore per un malattia, anche lì, purtroppo, piano piano ci si abitua all’idea e si elabora il famoso lutto, ma quando uno se ne va, come se n’è andato Zio Pino, non ti dai pace
F: Eh si, sta rientrando a casa Zio Pino, è già davanti al suo portone, pensate, addirittura ha già infilato la chiave nel portone
P: Un tizio, a volto scoperto e con una pistola, si avvicina e gli dice: parré, questa è una rapina!
F: Zio Pino sorride, lo ama… e risponde: me l’aspettavo… e si gira di nuovo verso il portone!
P: Il tizio con la pistola, punta alla nuca e preme il grilletto!
F: Il grilletto provoca la combustione, il grilletto provoca la combustione delle polveri che generano l’espansione dei gas che consentono il lancio del proiettile!
P: Il proiettile si muove nello spazio seguendo una linea parabolica! Il proiettile si muove nello spazio seguendo una linea parabolica, che comincia dalla bocca della pistola e termina al suolo, dopo centinaia, centinaia e centinaia di metri… ma se tu, tu o tu, hai il c**o, di trovarti nel mezzo
F: A quel punto, Padre Pino Puglisi cade a terra, in un attimo la notizia fa il giro di Brancaccio
P: Tutti i suoi fratelli, tutte le sue sorelle, tutti, accorrono increduli
F: Non era mai successo, un prete ucciso perché predicando l’amore stava disturbando la mafia!
P: Ma pure lui, ma pure lui! Sapendo che aveva tutta questa passione per l’amore, se ne andava in giro a nuca scoperta!
F: E dire che noi gliel’avevamo detto, Zio Pino, con tutto questo amore si dia una calmata, perché altrimenti a lei finisce male, ma lui era cocciuto!
P: Molti dicono che lui sia morto e che noi dobbiamo elaborare il famoso lutto, ma noi che lo conoscevamo bene, sappiamo che non di tratta di morte, no, ma di parto
F: Si, di parto, perché si può nascere in tanti modi: c’è un parto naturale, un parto cesareo, un parto in acqua…e poi c’è il parto per uccisione
P: E noi che in vita non avevamo mai capito fino in fondo che cosa provasse Zio Pino quando amava, adesso ci ritroviamo contagiati ad amare persino quel tizio con la pistola, che poveretto, poveretto! Senza saperlo, lo ha fatto nascere… perché c’è un parto cesareo
F: Quello in acqua
P: Poi c’è quello naturale
F: E poi ce n’è uno per uccisione
P: C’è un parto cesareo!
F: In acqua!
P: Naturale!
F: Per uccisione!
P: C’è un parto cesareo!
F: In acqua!
P: Naturale!
F: Per uccisione.

Don Pino Puglisi, sacerdote in Sicilia, ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993

domenica, settembre 14, 2008

La primavera a novembre, quando meno te lo aspetti.



Più dei tramonti, più del volo di un uccello,
la cosa meravigliosa in assoluto è una donna in rinascita.

Quando si rimette in piedi dopo la catastrofe,
dopo la caduta.
Che uno dice: è finita!
No, finita mai, per una donna.
Una donna si rialza sempre, anche quando non ci crede,
anche se non vuole.
Non parlo solo dei dolori immensi,
di quelle ferite da mina anti-uomo
che ti fa la morte o la malattia.

Parlo di te, che questo periodo non finisce più,
che ti stai giocando l'esistenza in un lavoro difficile,
che ogni mattina è un esame, peggio che a scuola.
Te, implacabile arbitro di te stessa,
che da come il tuo capo ti guarderà deciderai
se sei all'altezza o se ti devi condannare.
Così ogni giorno, e questo noviziato non finisce mai.
E sei tu che lo fai durare.

Oppure parlo di te, che hai paura
anche solo di dormirci, con un uomo;
che sei terrorizzata che una storia
ti tolga l'aria,
che non flirti con nessuno perché hai
il terrore che qualcuno s'infiltri nella tua vita.
Peggio: se ci rimani presa in mezzo tu,
poi soffri come un cane.

Sei stanca: c'è sempre qualcuno con cui ti devi giustificare,
che ti vuole cambiare, o che devi cambiare tu
per tenertelo stretto.
Così ti stai coltivando la solitudine dentro casa.
Eppure te la racconti, te lo dici anche quando
parli con le altre:
"Io sto bene così. Sto bene così, sto meglio così".

E il cielo si abbassa di un altro palmo.
Oppure con quel ragazzo ci sei andata a vivere,
ci hai abitato Natale e Pasqua.
In quell'uomo ci hai buttato dentro l'anima;
ed è passato tanto tempo,
e ne hai buttata talmente tanta di anima,
che un giorno cominci a cercarti dentro lo specchio
perché non sai più chi sei diventata.

Comunque sia andata,
ora sei qui e so che c'è stato un momento
che hai guardato giù e avevi i piedi nel cemento.
Dovunque fossi, ci stavi stretta: nella tua storia,
nel tuo lavoro, nella tua solitudine.
Ed è stata crisi. E hai pianto.

Dio quanto piangete!
Avete una sorgente d'acqua nello stomaco.
Hai pianto mentre camminavi in una strada affollata,
alla fermata della metro, sul motorino.
Così, improvvisamente.
Non potevi trattenerlo.

E quella notte che hai preso la macchina e
hai guidato per ore,
perché l'aria buia ti asciugasse le guance?
E poi hai scavato, hai parlato.

Quanto parlate, ragazze! Lacrime e parole.

Per capire, per tirare fuori una radice lunga sei metri
che dia un senso al tuo dolore.
"Perché faccio così?
Com'è che ripeto sempre lo stesso schema?
Sono forse pazza?"

Se lo sono chiesto tutte.
E allora vai giù con la ruspa dentro alla tua storia,
a due, a quattro mani, e saltano fuori migliaia di tasselli.
Un puzzle inestricabile.

Ecco, è qui che inizia tutto. Non lo sapevi?
E' da quel grande fegato che ti ci vuole per guardarti così,
scomposta in mille coriandoli, che ricomincerai.

Perché una donna ricomincia comunque,
ha dentro un istinto che la trascinerà sempre avanti.

Ti servirà una strategia,
dovrai inventarti una nuova forma per la tua nuova TE.
Perché ti è toccato di conoscerti di nuovo,
di presentarti a te stessa.
Non puoi più essere quella di prima.
Prima della ruspa.

Non ti entusiasma? Ti avvincerà lentamente.

Innamorarsi di nuovo di se stessi,
o farlo per la prima volta, è come un diesel.
Parte piano, bisogna insistere.
Ma quando va, va in corsa.
E' un'avventura, ricostruire se stesse.
La più grande.

Non importa da dove cominci, se dalla casa,
dal colore delle tende o dal taglio di capelli.

Vi ho sempre adorato, donne in rinascita,
per questo meraviglioso modo di gridare al mondo

"sono nuova"

con una gonna a fiori o con un fresco ricciolo biondo.
Perché tutti devono capire e vedere:

"Attenti: il cantiere è aperto.
Stiamo lavorando anche per voi.
Ma soprattutto per noi stesse".

Più delle albe, più del sole,
una donna in rinascita è la più grande meraviglia.
Per chi la incontra e per se stessa.

E' la primavera a novembre. Quando meno te l'aspetti.




Dedicato ai cantieri aperti, ai mille coriandoli, a chi si cerca nello specchio e a chi ci butta l'anima. A chi si coltiva la solitudine dentro casa e a quel gran fegato che ci vuole.
A chi leggendola, ha visto anche me.

venerdì, settembre 12, 2008