mercoledì, agosto 25, 2010

Questa notte mi ha aperto gli occhi...

Nessuno, assolutamente nessuno in grado di scegliere avrebbe deciso di passare la domenica mattina in un quartiere di case popolari del South East. Ti svegli la mattina fissando una macchia d'umidità sul soffitto, una fugace visione di tutti i meravigliosi posti che ci sono sulla terra ti passa davanti agli occhi, posti dove saresti potuto essere, e ti accorgi che qualcuno, da qualche parte, ha seriamente sbagliato i calcoli. Il sole splende, è una bella mattina, frizzante e invernale. Hai due possibilità. O rimani a letto tutto il giorno cercando di dimenticare dove sei; o ti alzi e vai fuori, lontano da quel posto cazzuto, dovunque, non ha importanza...basta andare in un posto che non ti faccia sentire così disperatamente depresso. In tutto il quartiere ci dev'essere gente che ha di questi pensieri; in ogni appartamento c'è qualcuno che progetta la propria fuga. Chiunque avrebbe pensato che tutte le domeniche mattina ci sarebbe stato un esodo di massa, che le strade sarebbero state strapiene di uomini disperati, donne e bambini in cerca di un respiro di libertà. Ma non è così. Nessuno si muove. Rimangono tutti rintanati. E sapete perchè?
Perchè non c'è neanche un merdoso autobus, ecco perchè. Non è che sono previsti, ci mancherebbe. Da qualche parte, forse nascosto in qualche sotterraneo o in un archivio da tempo dimenticato, ci dev'essere un orario che dice dove e quando dovrebbero passare gli autobus. Sul lato della fermata c'è perfino un piccolo pannello appositamente previsto per l'orario domenicale, solo che nessuno ce l'ha mai messo. Credo che l'azienda dei trasporti di Londra asssuma dei vandali col compito specifico di strappare gli orari non appena vengono esposti, così la gente non ha idea di quando dovrebbero passare gli autobus e di conseguenza non può lamentarsi del fatto che non arrivino mai. Aspettare a una fermata la domenica mattina è come andare a messa: è un atto di fede, l'espressione di una fede irrazionale in qualcosa che desideresti mostruosamente che esistesse, anche se non l'hai mai vista con i tuoi occhi.
All'inizio sei l'unico che aspetta. Hai calcolato un paio d'ore per il viaggio e ti senti goffamente ottimista. Fischietti una melodia. Passano venti minuti e arriva un autobus ma è fuori servizio. Non importa, è ancora presto. Un vecchietto ti raggiunge alla fermata, chiedendoti se è tanto che aspetti. Tu rispondi che sono circa venti minuti. Fa un cenno con la testa e si accende una sigaretta. Cominci a fare degli anagrammi con le parole della pubblicità appese dall'altro lato della strada. Conti le finestre del palazzo alla tua destra. Passano altri venti minuti, l'impazienza cresce. Hai iniziato a battere i piedi. Il vecchio ha finito la sigaretta, si è arreso, è scomparso. Le gambe iniziano a farti male, così sposti il peso nervosamente da una gamba all'altra. Alle tue spalle c'è una piccola bottega, e il proprietario, un cipriota, è in piedi sull'uscio che ti guarda beato con un sorriso d'intesa che ti manda in bestia. Sorride perchè sa, come te anche se non osi confessartelo, che la tua sofferenza è appena cominciata.
Passa altro tempo. Hai smesso di fischiare e sei a corto di anagrammi. Guardi in continuazione l'orologio: con tale frequenza che riesci a indovinare l'ora con un'approsimazione di pochi secondi. Altre persone ti raggiungono. Alcune di loro si arrendono dopo pochi minuti e si allontanano a piedi. A questo punto, per quanto ti stia forzando di trattenerla, ti monta in petto una vuota e lacrimosa disperazione. Una vecchia, vecchissima signora non si ferma neanche, bofonchiando tra sè e trascinandosi dietro un carrello pieno di biancheria sporca. La odi. La odi perchè sai che la rivedrai di nuovo. Anche se sta camminando alla velocità di un miglio al secolo, sai che avrà il tempo di andare fino alla lavanderia, fare tre carichi, telefonare alla sorella per il pranzo della domenica, mangiare l'intero pasto, lavare i piatti, guardare l'edizione completa dell'Enciclopedia Britannica e tornare indietro prima che sia passato l'autobus. Cominci a pensare a tutte le cose che avresti potuto fare invece di aspettare. Inizi a sommare tutte le ore della tua vita sprecate ad aspettare autobus che non sono mai arrivati. L'intera, triste storia dell'umanità, l'intero catalogo delle sofferenze e delle miserie umane, sembra improvvisamente cristallizzato in questa futile attività. Ti viene voglia di piangere. A questo punto alla fermata si è radunata una piccola folla. La gente è seduta per terra, trema per il freddo con la testa tra le mani; i ragazzini si lamentano, piagnucolano e corrono in giro. sembra una scena di un campo profughi dell'Europa orientale. E hai anche una gran fame. La botteguccia cipriota alle tue spalle è ancora aperta, ti domandi se non sia il caso di compiere un atto di carità, tirando fuori tutte quelle persone dalla loro miseria. Perchè sai che non appena avrai messo piede nel negozio, anche solo per trenta secondi, dall'angolo spunterà un autobus e sarà già ripartito prima che tu riesca ad usicre. E' una certezza, lo sai. Ma nello stesso tempo non riesci a non chiederti se valga la pena rischiare: supponendo che l'autobus arrivi, non quando entri nel negozio ma nell'istante preciso in cui consegnerai i soldi al cassiere, non riuscirai forse a prendere il resto, correre fuori, saltare sull'autobus? Un tentativo va fatto. Così entri e scegli una tavoletta di cioccolato, ma il cipriota se n'è andato a mangiare lasciando alla cassa il figlio di otto anni, gli dai una moneta da cinquanta pence guardando ansiosamente fuori dalla finestra, l'autobus è arrivato, e il piccolo cipriota si gratta la testa perchè non ha la più pallida idea di come fare per sottrarre ventiquattro da cinquanta, così gli urli:"Ventisei! Ventisei!", lui apre la cassa ma non ci sono pezzi da dieci, neè da venti, comincia acontare lentamente le monete di rame mentre tu guardi fuori dalla finestar e vedi che anche l'ultima persona sta salendo sull'autobus. Ti metti a gridare:"Lascia perdere! Lascia perdere!" e corri fuori nel momento esatto in cui l'autobus sta ripartendo, e il conducente ti vede ma non si ferma perchè è un gran bastardo.
Segue un breve scoppio di risa isteriche, poi cala una strana quiete. Sembra tuto mortalmente calmo adesso che la folla se n'è andata e le strade sono totalmente vuote di traffico. Guardi l'orologio, ma non ti dice nulla perchè a questo punto sei entrato in una fase in cui tra la tua concezione del tempo e lo scorrere normale delle ore non c'è più alcun rapporto. Cominci a pensare che l'arrivo di un altro autobus sarebbe importuno, perchè romperebbe l'incanto di questa nuova euforia. Il pensiero di passare di passare il resto della tua vita alla fermata dell'autobus ti riempie di benevola indifferenza. Ora ti sembra che l'aver atteso a lungo sia stata un'esperienza ricca e appagante perchè ti ha insegnato un distacco filosofico che molti grandi uomini t'invidierebbero. Sei padrone di uan eroica fermezza, tale da far risultare Tommaso Moro, il giorno della sua esecuzione, un patetico piagnucolone. Il tuo atteggiamento stoico fa sì che al tuo confronto Socrate, con la cicuta posata in grembo, dovesse sembrare infantile, paranoico e del tutto fuori di testa. Hai la sensazione che niente al mondo possa più nuocerti.
Improvvisamente qualcosa spunta dall'angolo e viene nella tua direzione. E' un taxi con la luce gialla accesa. Senza preoccuparti di controllare se te lo puoi permettere, gli fai cenno di fermarsi, e sali.

Questa notte mi ha aperto gli occhi. J.Coe

6 Commenti:

Anonymous meryl ha detto...

Bellissima rappresentazione dei fatti.
Ti fa rivivere i momenti anche se non ci sono mai stato.

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7:30 PM  
Blogger Gianni P. ha detto...

Sei strepitosa.
Riprendi a scrivere.
Sei strepitosa.
CIao

10:35 AM  
Blogger Cla ha detto...

Grazie... È tanto che non scrivo.

1:16 AM  
Blogger Cla ha detto...

Grazie... È tanto che non scrivo.

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Anonymous 7toursbd ha detto...

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